Priego Dio mi doni in prima grazia d'amarlo e servirlo con tutto il mio cuore e forze; che così desidero.

Priego Dio mi doni grazia d'amare il mio prossimo come me stessa che così desidero.

Priego Dio mi doni spirito d'umiltà e disprezzo di me stessa che così desidero.

Priego Dio mi doni grazia che sii diligente che la roba che passa per le mie mani vada con buon recapito che così desidero.

 

VIRGINIA CENTURIONE BRACELLI

LA VITA

            Virginia nacque in Genova il 2 aprile 1587, da Giorgio Centurione e da Lelia Spinola, coniugi appartenenti a due tra le più illustri famiglie genovesi. All’età di 10 anni, ella aveva subìto in modo traumatico la morte della madre; una morte che aveva segnato gli occhi della bambina di una dolce e lontana malinconia. Crescendo la fanciulla esibì un corpo perfettamente in linea due splendidi occhi azzurri e una magnifica cascata di capelli biondi. Il padre, consapevole e felice di avere in famiglia un capolavoro di bellezza, pensò di metterla a frutto e, secondo le usanze del tempo, intavolò le trattative necessarie a definire un matrimonio tra Virginia e l’uomo che a lei egli aveva destinato, l’ultimo discendente, cioè della ricchissima casata dei Grimaldi Bracelli, quel Gaspare che, per la verità si era esposto ai commenti di Genova a causa di una sfrenata passione per la vita mondana. Quando il padre comunicò a Virginia che l’aveva fidanzata a Gaspare Bracelli, ella, sapendo di non potersi opporre alla volontà paterna, non disse parola, ma scoppiò in un pianto dirotto.

Sposa a 15 anni

            Era il 10 dicembre 1602, giorno fissato perle nozze, Virginia, nel pieno della festa, splendida nel vestito nuziale, fu colta da un fremito improvviso, una reminiscenza la costrinse a fuggire nelle sue camere. Quivi giunta, in un crollo pressoché totale, cadde in ginocchio di fronte al Crocifisso ed esplose in un pianto veemente: con il cuore di carne nel cuore trafitto del Cristo sulla croce, in una emozione senza precedenti, quel che confusamente tremava a lei nell’anima, divenne concetto e si manifestò in parole: “Virginia, tu mi hai lasciato per un uomo”. La matrigna e le signore che avevano notato la sua assenza la trovarono in lacrime e, intesa la causa, cercarono di confortarla dicendole che il matrimonio è un sacramento e che si può servire il Signore in tutti gli stati come aveva dimostrato la sua santa mamma. Le asciugarono le lacrime, le rinfrescarono il viso, le ricomposero l’acconciatura e l’accompagnarono fra gli invitati i quali se si accorsero delle tracce del pianto sul suo viso furono ben lontani da intenderne il significato. Anche la prolungata esitazione prima di pronunciare il suo si venne attribuita alla commozione, del resto naturale in quelle circostanze. Virginia aveva allora 15 anni; Gaspare, 20; e, per quanto entrambi giovanissimi, non erano giunti al matrimonio ugualmente disposti. Gaspare, infatti, sebbene alla vigilia della scelta definitiva avesse dato segni di ravvedimento e di maggiore equilibrio, a matrimonio avvenuto, tornò inesorabilmente agli antichi amori mondani. Virginia, dal canto suo, fu immediatamente assorbita dal suo nuovo stato e si accinse ai doveri di donna, di sposa e di madre, con dedizione piena.

"Era bella quanto immaginar si possa...affondò le forbici nei suoi capelli d’oro...e le sue vesti divennero apparati di Chiesa...e le sue gioie pane al povero”. (fonti storiche)

Sofferenza di una sposa

            Il suo amore per Gaspare fu vero e si espresse oltre che nella devozione, anche in due maternità. Da Gaspare e da Virginia nacquero infatti Lelia ed Isabella, due bambine che restarono affidate alle cure materne dal momento che Gaspare diradò sempre più la sua presenza in casa e in città, addirittura ossessionato dal gioco, dalla caccia e dalla goliardia. Virginia cercava di nascondere la condotta del marito non solo al padre Giorgio ma anche alla madre di Gaspare che viveva nel suo stesso palazzo. Ogni sera trovava pretesti per giustificare i suoi prolungati ritardi e convinceva la suocera ad andare a riposare, quindi licenziava la servitù, per essere sola nel suo dolore. Trascorreva le ore di attesa leggendo la Sacra Scrittura e pregando davanti al Crocifisso o lavorando. Quando Gaspare, a tarda notte, rincasava,Virginia era sempre pronta, delicata e premurosa; subiva senza lamentarsi i suoi mutismi e le stranezze dovute alle perdite, spesso notevoli, al gioco, cercava anzi di confortarlo dichiarandosi pronta a fare sacrifici, a vendere i suoi monili e a licenziare la servitù.

Gaspare si ammala

            Gli strapazzi della vita dissipata minarono in maniera definitiva la già malferma salute di Gaspare. Roso dalla tisi, egli prese dimora in Alessandria, presso i cugini marchesi Trotti ed invitò la giovane sposa a raggiungerlo per garantirgli presenza e assistenza. Virginia, nonostante il netto rifiuto al viaggio opposto da Giorgio Centurione - il quale non credeva nella malattia del genero e la riteneva nulla più che un espediente per costringere la figlia lontana da casa e per condurla nel mondo del fatuo e del vano - dette subito credito al marito e fu addirittura sconvolta dalle ultime laconiche parole indirizzate a lei da Gaspare: “Se vuoi vedermi ancora vivo parti immediatamente. In caso contrario, valga questa lettera da congedo”.

            Virginia, conscia dei suoi doveri, si presentò allora al padre e disse: “Padre, io non volli legarmi a Gaspare Bracelli; ricordatevi che questa unione è dovuta specialmente a voi. Ora egli è mio marito ed io sono in obbligo di trovarmi al suo fianco quando anche egli non si trovasse in bisogno di sorta”.

            Vinto dalle lucide argomentazioni della figlia, il nobiluomo si decise al viaggio e poté costatare di persona il dramma di Gaspare: pallido, emaciato, con un filo di voce ed una tosse cavernosa, egli giaceva inchiodato su un letto di dolore. Nessuna finzione, quindi, ma cruda e crudele realtà. Tanto più cruda e tanto più crudele la realtà di Gaspare in quanto il giovane, destinato a morire nella pienezza di una vita appena esplosa, solitario e muto, era ribelle ad ogni discorso e, più che mai, a qualsiasi discorso di natura religiosa, l’unico in grado - e questo Virginia sapeva molto bene - di rinnovare in radice le speranze di lui e proiettarle al di là del tempo.

Serena morte del marito

            Virginia divenne subito premurosa infermiera ed angelo consolatore: Gaspare accanto a lui desiderava solo la sua presenza. Passarono giorni di ansia e di turbamento. Infine, le premurose attenzioni di Virginia, la sua preghiera fervente, le sue lacrime nascoste e il docile suo sorriso, ottennero il miracolo: di propria iniziativa, Gaspare chiese di parlare con il cappuccino P. Giacinto Natta da Casal Monferrato e, poi, di confessarsi con il gesuita Padre Lamberto Regio. Da allora il cambiamento di Gaspare fu radicale. Si dispose a lasciare il mondo nella luce di una verità per lui tutta nuova e, assistito dalla moglie, morì giovane di appena 24 anni, il 3 giugno 1607, pienamente riconciliato con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose. 

Vedova a 20 anni

            Virginia, che già da bambina, con la morte acerba della madre aveva sofferto la tragica esperienza del vuoto improvviso, ora, nel rinnovato impatto con la morte dello sposo, ebbe modo di abbandonarsi ad una attenta riflessione. Si prostrò davanti al Crocifisso e rimase a lungo in preghiera. Le sembrò allora di ricevere una risposta: “Virginia, io ho chiamato Gaspare a me perché da oggi io stesso voglio essere il tuo sposo”.

            La giovane nobildonna decise di conformarsi pienamente e, sul cadavere ancora caldo del marito, consacrò se stessa a Dio. Dopo il decesso di Gaspare, ella scelse di abitare nel palazzo di Via Lomellini, con la suocera Maddalena e con le due figlie che educò convenientemente alla vita e che rese alla società integre, probe, aperte, capaci di assumere e di vivere responsabilità.

Gesto significativo

            A Giorgio Centurione era parso opportuno, sulle prime, lo stile di vita riservato ed essenziale che la figlia aveva imposto a se stessa. Esso corrispondeva bene ai doveri di una nobile e giovane vedova. Con lo scorrere del tempo, tuttavia, il genitore cominciò ad accarezzare l’idea di un nuovo matrimonio che potesse garantire sicurezza e protezione a Virginia, lustro ulteriore alla famiglia. Ma poiché la figlia sembrava assente ad un simile progetto e continuava a vivere con le figlie e la suocera nel palazzo Lomellini, divenuto sotto la spinta di lei un autentico cenacolo di pietà cristiana, il nobile Giorgio, direttamente e poi indirettamente attraverso la mediazione della consuocera, fece conoscere a Virginia la sua volontà: egli chiedeva che la figlia procedesse a nuove nozze. Era importante per Virginia stessa al cui fianco si riteneva ormai necessaria la presenza di un cavaliere a tutelarne l’avvenire; era importante per Giorgio Centurione che, col matrimonio della figlia, imparentandosi con una nuova influentissima famiglia, sperava di assicurarsi la più alta carica della Repubblica, quel Dogato biennale cui egli aspirava da sempre e che, bisogna dire, con i meriti conseguiti nel servizio del Governo, decisamente meritava. Per nulla intimorita dalla ingiunzione paterna, garbatamente ma ferma ed irrevocabile nella sua decisione, Virginia, contro i canoni della cultura ufficiale e quindi con coraggio inusitato, resistette alle proposte ed alle insistenze del genitore, manifestando chiaramente che il progetto da lei accarezzato non prevedeva un nuovo matrimonio. Ella aveva giurato fedeltà a Gaspare e a Gaspare voleva restare fedele. Inoltre si era consacrata all’amore di Cristo e soltanto da Cristo aspettava un cenno atto ad indicarle il cammino sul quale muovere decisamente. Da ultimo, Virginia concluse il suo discorso con un gesto altamente significativo: alla presenza di Giorgio Centurione si recise i bellissimi capelli biondi per dimostrare anche plasticamente la sua appartenenza a Cristo. Giorgio Centurione subì a malincuore la decisione della figlia, ma non poté che prenderne atto ed adeguarvisi.

            Virginia, così, ormai libera da pressioni esterne, riprese la sua strada di fedeltà alla vita interiore e ai ruoli di vedova e di madre che il dovere le imponeva. Una notte ebbe la percezione di una chiamata particolare: “È mia volontà che tu mi serva nei poveri”, le aveva detto Gesù. E occorre dire che in questa linea ella aveva cominciato subito a camminare destinando, d’accordo con la suocera, al sostegno dei poveri parte delle sue rendite e beneficando le chiese povere del dominio genovese. Una prima timida risposta nell’attesa, uno stato degno delle specifiche inclinazioni. Maritate le figlie - Lelia andò sposa a Benedetto Baciadonne, Isabella a Giuseppe Squarciafico - Virginia rinnovò con crescente insistenza il ritornello preferito della sua preghiera: “O Signore manda la tua luce e tua verità”.

            Virginia aveva operato la sua scelta in una notte di tempesta interiore, quando aveva colto drammaticamente lo scarto fra l’offerta del mondo e l’offerta di Dio. In quel doloroso frangente ella aveva riflettuto ed aveva partorito la sua opzione: Dio. E tutto il resto in relazione a Lui : gli occhi puntati su Cristo, la mente assorta in Lui. Perché sempre unita a Gesù, Virginia fu capace di finalizzare tutto: preghiera, impegno, dolore, fatica, lacrime, speranze. Della povertà volle e seppe individuare le cause e si mosse nella linea della rimozione di esse, aggredendo alla radice soprattutto l’ignoranza ovunque e sempre fonte primaria di povertà e di miseria. Virginia fu presente in tutte le attività cittadine, fossero esse di natura sociale o religiosa. Attraverso le sue “Figlie”, Virginia, oggi come ieri, allarga il suo sorriso sulle miserie del mondo e addita in Dio il punto di riferimento essenziale perché si possano spezzare le catene del male e possa sorgere finalmente l’alba di un giorno nuovo. E invita a guardare a Maria, la madre di Gesù, come al modello e alla bandiera cui dovrà ispirarsi ogni cristiano che voglia, puntare sulle ragioni della speranza cristiana, l’unica speranza.